Fedelissimi Amaranto

Avatar utente
MaxLabro
Messaggi: 327
Iscritto il: gio 10 giu 2021, 15:54

Re: Fedelissimi Amaranto

Messaggio da MaxLabro »

'Voleva che la sua bara fosse foderata in amaranto, che al suo interno fosse sistemato un gagliardetto della società. È stato accontentato.'

Grande Simonti.
Avatar utente
piazza
Messaggi: 10074
Iscritto il: ven 15 gen 2021, 20:05

Re: Fedelissimi Amaranto

Messaggio da piazza »

Ancora ANDREA LUCI

Immagine

HAI GIA' FATTO LA STORIA, TORNI PER ESSERE LEGGENDA. BENTORNATO CAPITANO!
Avatar utente
piazza
Messaggi: 10074
Iscritto il: ven 15 gen 2021, 20:05

Re: Fedelissimi Amaranto

Messaggio da piazza »

PAULO SERGIO BETANIN PAULINHO
Immagine

Visto che oggi è il su' compleanno, inseriamo anche lui nei Fedelissimi, con le sue 184 presenze e i suoi 56 gol in maglia amaranto.
Arrivato in sordina, sembrava il solito acquisto del cazzo di Spinelli, nonostante Igor in persona c'avesse messo il timbro (e anche il vecchio utente ferze per dì la verità, che fu l'unico che c'aveva visto lungo in tutta Livorno).
Probabilmente troppo giovane e acerbo, le prime stagioni a Livorno furono deludenti e quando ritornò dal prestito col Grosseto, fu anche sonoramente fischiato in più di un'occasione.
Poi andò in prestito biennale al Sorrento e fece il botto, anche se va detto che era in C1.
Tornò a Livorno e diventò un idolo, trascinandoci letteralmente in serie A a suon di gol (23 in tutto), al secondo anno dal suo ritorno.
Fu anche uno dei pochi a salvarsi l'anno successivo, con 15 gol il suo lo fece alla grande, nonostante una squadra di merda retrocessa già prima di incomincià.

TUTTI I GOL NELLA STAGIONE 2012/13
Avatar utente
19=L=15
Vincitore Pallone d'Oro
Messaggi: 2402
Iscritto il: dom 20 feb 2022, 19:43
Località: Livorno

Re: Fedelissimi Amaranto

Messaggio da 19=L=15 »

Secondo me protti N1.....Ma una storia come quella con Lucarelli ricordiamoci sempre che non ce l'ha mai avuta nessuno e chiunque ami un certo tipo di calcio (a cominciare dagli splendidi jerrycavalliani) ce la invidia e ci rosica
"Bandera" amaranto, stretta in fronte, carica di dolor, ma terrà sempre fronte
Avatar utente
Fabio
Messaggi: 2138
Iscritto il: ven 15 gen 2021, 16:30

Re: Fedelissimi Amaranto

Messaggio da Fabio »

Sempre dall'ampia bacheca di Collezione Cuore Amaranto, un ricordo di quando l'Italia sportiva si inginocchiò al nostro Armandino

Immagine
= There is always hope =
Avatar utente
19=L=15
Vincitore Pallone d'Oro
Messaggi: 2402
Iscritto il: dom 20 feb 2022, 19:43
Località: Livorno

Re: Fedelissimi Amaranto

Messaggio da 19=L=15 »

Sempre ARMANDO PICCHI

Spalle larghe, volto incavato, temperamento popolare e sanguigno questo era Armando Picchi. Nella città di Amedeo Modigliani e di Giovanni Fattori, Livorno, il 20 giugno 1935 nacque, in piazza Mazzini nel quartiere Borgo dei Cappuccini, un altro artista che però non usava il pennello bensì la sfera di cuoio. Armandino, come veniva chiamato dai livornesi, proveniva da una famiglia della piccola borghesia labronica che ebbe due figure importantissime: i nonni Egisto Picchi e Costante Neri. Analizzando i personaggi citati in precedenza si capisce da dove Picchi ereditò il suo carattere ribelle e la determinazione che lo resero uno dei liberi più grandi della storia del calcio italiano.

Il primo, il nonno paterno Egisto, era stato un fervente mazziniano, come testimoniava il quadro dell’eroe risorgimentale appeso in casa e sul quale non era ammessa nessuna critica. La città labronica ebbe una storia risorgimentale molto importante lo testimonia l’esecuzione del patriota Enrico Bartelloni avvenuta durante l’assedio di Livorno nel 10-11 maggio 1849 dove la città venne saccheggiata dagli austriaci. Per molti versi questa storia di ribellione segnò, nel senso buono, i livornesi nati dopo l’Unità d’Italia tra cui il nonno di Armandino. Egisto Picchi negli anni venti ebbe problemi anche con il regime fascista; infatti venne messo alla sbarra nel cosiddetto “processo ai livornesi”, dove i manifestanti sfilarono nella pubblica via con fiocchi rossi e neri. Il secondo nonno, quello materno, Costante Neri, non era da meno del primo perché più volte sotto il fascismo si rifiutò di prendere parte alle adunate “oceaniche” per rendere omaggio a Galeazzo Ciano. Coltivò in segreto simpatie anarchiche. Gli anarchici livornesi non erano dei semplici sognatori, anzi erano molto ruvidi, non usavano mezzi termini e lo testimonia l’assassinio del fondatore e direttore de Il Telegrafo Giuseppe Bandi un ex garibaldino quindi non proprio un reazionario.

Questo era il background famigliare che Armando Picchi ereditò e che seppe incarnare a pieno sul campo di calcio. In Picchi si poteva trovare l’essenza di Livorno, cioè quella tempra ribelle, generosa e insofferente a ogni imposizione. Quella storia di porto franco aperto a qualsivoglia nazione (citando le Leggi Livornine del 1591-93). La storia di una città colma di spirito associativo, di lavoratori colti capaci di creare grandi biblioteche dentro le cooperative; una città con un forte senso dell’amicizia e la predisposizione alla buona cucina. Il capitano interista era come uno specchio, dove la Livorno popolare poteva guardare e veder riflessa la propria immagine in esso. Tutto questo retaggio culturale marcò fortemente il carattere di Armandino e influì nelle sue scelte di vita.

La sua avventura calcistica partì proprio dal suo Livorno nel ruolo di mediano ma fu l’allora tecnico dei labronici Mario Magnozzi che lo trasformò in un terzino destro e la mossa fu azzeccata perché in quella posizione Picchi riusciva a sfruttare a pieno tutto il suo agonismo sportivo. La svolta della sua carriera arrivò intorno al 1960 quando l’Inter lo acquistò dalla S.P.A.L e dal nulla il livornese si ritrovò in una delle squadre più importanti del calcio italiano. Helenio Herrera (Il Mago) che aveva appena preso le redini della squadra stava gettando le basi per la nascita della Grande Inter e Picchi, forse inconsapevolmente, sarebbe diventato un pilastro di questo progetto e uno dei più rappresentativi di quella compagine. Herrera, nel 1963, era diventato orfano del suo libero Bruno Bolchi ceduto al Verona. Andava sostituito e “Il Mago” ebbe l’intuizione di spostare Armandino da terzino a libero perché aveva notato la grande predisposizione naturale del livornese nei ruoli di comando e di guida tattica. Nonostante il suo carattere scontroso verso le imposizioni, aveva dimostrato più volte che era in grado di condurre in maniera superlativa la difesa nerazzurra e sulla base di queste considerazioni Herrera decise che il suo nuovo libero difensivo sarebbe stato proprio Picchi. Così per la prima volta in vita sua Armando Picchi mise a disposizione della squadra tutto il suo spirito anarco-mazziniano interpretando il ruolo del libero in tutta la sua essenza. Era l’ultimo uomo della difesa, col carisma per innalzarsi come estremo baluardo davanti al portiere nei momenti difficili e con la giusta qualità per dialogare con un fuoriclasse come Suarez. Picchi si trasformò in un vero capito, il capitano della leggendaria Grande Inter che vinse tre scudetti, due Coppe dei Campioni e due coppe Intercontinentali.

Il suo carattere ribelle lo portò contro la ferrea disciplina del suo mister e così abbandonò l’Inter per concludere la sua avventura calcistica nel Varese (1969). Ritiratosi intraprese la carriera di allenatore dimostrando grandi capacità salvando il Livorno dalla retrocessione e portandolo fino il nono posto in classifica. Boniperti lo portò alla Juventus nel 1970 e fu lui ad allestire la compagine bianconera che dominerà il calcio italiano per tutti gli anni 70. Purtroppo non vedrà mai la sua opera finita perché nel 1971 Picchi morì a causa di un tumore alla colonna vertebrale. Aveva 35 anni quando assunse la guida della Juventus. Picchi fu grande non solo dal punto di vista del calcio giocato ma anche per merito della sua capacità di “leggere la partita” una caratteristica che lo rendeva un “allenatore in campo”. Negli anni sessanta Picchi si conquistò l’immagine di giocatore simbolo di quel decennio ma in seguito fu chiaro a tutti: Armandino insieme a Gaetano Scirea e Franco Baresi fu il libero più forte della storia del calcio. Un livornese vero, carismatico, grintoso, verace e insofferente alle imposizioni. Furono queste sue caratteristiche che lo resero un grande giocatore in grado di guidare la Grande Inter verso traguardi gloriosi. Un uomo glaciale quando entrava nel ruolo di Picchi capitano dell’Inter ma fuori da esso un grande cuore e un sorriso smagliante. Libero in tutti sensi, un libero immenso per la gloria dell’Inter.


Link: https://www.glieroidelcalcio.com/2021/0 ... icchi/amp/
"Bandera" amaranto, stretta in fronte, carica di dolor, ma terrà sempre fronte
Avatar utente
piazza
Messaggi: 10074
Iscritto il: ven 15 gen 2021, 20:05

Re: Fedelissimi Amaranto

Messaggio da piazza »

Qualche bello scatto di IGOR:

Immagine

Immagine

Immagine

Immagine

Immagine

Immagine





Bei mi' tempi per davvero...CRISTIANO E IGOR insieme:

Immagine

Immagine
Avatar utente
19=L=15
Vincitore Pallone d'Oro
Messaggi: 2402
Iscritto il: dom 20 feb 2022, 19:43
Località: Livorno

Re: Fedelissimi Amaranto

Messaggio da 19=L=15 »

piazza ha scritto: ven 17 giu 2022, 18:18 Immagine

Boia luili glielo puntellava de :D :D
Belle cmq tutte le foto!
"Bandera" amaranto, stretta in fronte, carica di dolor, ma terrà sempre fronte
Avatar utente
piazza
Messaggi: 10074
Iscritto il: ven 15 gen 2021, 20:05

Re: Fedelissimi Amaranto

Messaggio da piazza »

Immagine
Avatar utente
Dattero
Messaggi: 5798
Iscritto il: lun 1 feb 2021, 15:52
Località: Livorno

Re: Fedelissimi Amaranto

Messaggio da Dattero »

Renato Raccis, la storia di un bomber sfortunato
di Ilaria Muggianu Scano

Il 17 giugno Renato Raccis avrebbe compiuto 100 anni. Sono gli anni del commissario tecnico dei record, Vittorio Pozzo, allenatore della nazionale negli anni Trenta e Quaranta, unico vincitore di due campionati mondiali, per giunta consecutivi, tuttora detentore imbattuto del primato. La storia è quella del giovane Renato Raccis, sfortunato attaccante sardo che per Pozzo era “erede naturale di Valentino Mazzola”. Ma il destino decide in altro modo.

Le premesse ci sono tutte. Nasce esattamente cento anni fa il giovane re Mida del calcio italiano, prematuramente stroncato dalla tisi nel pieno dell’ascesa calcistica che sembra inarrestabile. A cavallo tra i due conflitti bellici, vede la luce nella città sarda di Mandas, perla della provincia storica del Mandrolisai, densa di storia dal periodo nuragico alla nobile realtà del marchesato poi convertito in ducato, fino alla contemporanea vocazione turistica quando divenne meta dei letterati esploratori come David Herbert Lawrence, considerato uno degli intellettuali più controversi ed emblematici del XIX secolo, autore dello scabroso, per l’epoca, L’amante di Lady Chatterley, che di Mandas fece uno dei luoghi del cuore e che è accomunato al giovane calciatore mandarese dalla triste condanna della tubercolosi.

Renato Raccis nasce e cresce, dunque, vicino a Cagliari ma il talento calcistico lo conduce presto lontano dall’isola. Ancora quindicenne, Renatino viene ceduto dalla società calcistica San Giorgio di Cagliari, al Prato che pagherà la strabiliante cifra di 140mila lire per il ragazzino. Trascorrono quindi tre stagioni con la casacca pratese. Non ha ancora raggiunto la maggiore età e ha già messo a segno 71 reti su 58 partite. Nessuno ha più goal di lui. Impossibile passi inosservato agli occhi dei massimi procuratori.

Ad aggiudicarselo è il Livorno, squadra cara al Presidente Azeglio Ciampi che non lesinò mai parole di encomio e trasporto nel ricordo del bomber, condiviso con i mandaresi, nei diversi memoriali come la dedicazione dello stadio cittadino fortemente voluta dal primo cittadino Umberto Oppus. È proprio con la maglia amaranto che porta la squadra inizialmente incerta, a sfiorare lo scudetto, soffiato per un solo punto. Il titolo sarà del Grande Torino di Mazzola. Ma l’ascesa di Raccis è inarrestabile.

Arriva il 1945, nei giorni della Liberazione italiana dal dominio fascista, il bomber sardo gioca con la Juventus. Sono i giorni del memorabile derby torinese che culmina nell’esplosione di armi da fuoco e una tragica rissa sugli spalti presidiati dalle truppe tedesche. È tempo per Raccis di scrivere la storia con la casacca rossonera del Milan. È mezz’ala sinistra quando viene notato da Vittorio Pozzo. I tempi del miracolo sono vicini. Raccis ci crede. La stagione è quella del 1946-47, i diavolo rossoneri riescono nel mese di dicembre in quello che sembra un proposito ingenuo, strappare la posizione di testa all’inespugnabile Toro. Così come già aveva fatto in passato riportando vigore all’esausta compagine livornese, l’attaccante sardo fa vivere il sogno per sei mesi al Milan. La squadra meneghina ci crede fino al mese di marzo quando ancora sono ben quattro i punti di distacco dal Torino.

Raccis, settimana dopo settimana appare sempre più opaco, stanco, poco lucido, ma continua a presenziare ad ogni partita, per i medici sociali del Milan l’atleta non ha segni evidenti di alcuna patologia, finché si accascia stremato durante Milan-Triestina. Viene ricoverato. La diagnosi è di quelle che non perdonano. La tisi stronca per sempre la fulgida ascesa del ventiseienne rossonero.

A cento anni dalla nascita del numero 10 del Milan, una mostra nella città natale e il ponderoso volume biografico Renato Raccis, il bomber fermato dal destino (Carlo Delfino Editore), a cura degli storici Umberto Oppus e Mario Fadda.



Link: https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/0 ... o/6630216/
Cianciua ci fai veni' l'antua
Rispondi

Torna a “Personaggi Amaranto”