Fedelissimi Amaranto

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piazza
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Re: Fedelissimi Amaranto

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Etruria ha scritto: ven 9 apr 2021, 16:32 Mario Magnozzi
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MAGNOZZI Mario: il gol nel vento

Il “motorino” e il Livorno erano una cosa sola, tanto che “Magnò”, forse il più forte bomber toscano di ogni epoca, ha preteso la tomba rivolta verso l’Ardenza: «Così, grazie al libeccio, sarò sempre vicino ai ragazzi…»

Mario Magnozzi, il “motorino” e il Livorno sono una cosa sola e non solo da quel 25 giugno 1971, quando se ne andò a 69 anni, ma da molto tempo prima…

Quello che è stato forse il più grande bomber toscano nasce nella città labronica il 20 marzo 1902, secondo figlio di una modesta famiglia locale: il fratello maggiore, Renato, si cimenta come mediano in squadre di terza serie, come il Robur Siena, ma il vero fenomeno è Mario, che spopola a suon di gol nella JuventusBoys. Statura non eccezionale («È alto come un soldo di cacio» scriveva II Calcio Illustrato), ma cassa toracica degna di un lottatore, si fa notare per tecnica, velocità e dinamismo.

Calcia da tutte le posizioni e con entrambi i piedi, ma predilige il sinistro, con il quale, da mezzala d’attacco, è in grado di fare meraviglie: carattere dominante e carismatico, negli anni dell’adolescenza fonda ben cinque squadrette amatoriali e si guadagna il soprannome di Crognolo, ossia “girino”, il piccolo della rana. Debutta nel Livorno tre giorni dopo il 17esimo compleanno (4-1 alla LibertasFirenze nella Coppa Olivo). Tira, calcia, lotta, pressa, corre, una vera spina nel fianco.

Stagione 1919-20, il calcio italiano si lascia alle spalle la Grande Guerra e nel Livorno, dove tutti aspettano meraviglie dal grande Attilio Fresia, esplode invece questo 18enne che unisce tecnica a velocità ed è dotato di una straordinaria “castagna”, specie in corsa.

L’impatto è devastante: 22 centri in 16 presenze (addirittura 7 nel 9-1 alla Gerbi Pisa). Gli amaranto, trascinati dai suoi gol, arrivano alla finale per il titolo nazionale, a Bologna, dove soccombono per 3-2, alla più esperta formazione dell’Inter. I nerazzurri sono avanti di 3 reti all’intervallo, ma rischiano di essere rimontati. “Magnò” si ferma a due…

Dopo un’altra stagione a suon di gol (23), passa alla Pro Livorno per il torneo 1921-22: è l’anno della scissione federale e molti giocatori preferiscono restare nella Figc, pur di non perdere la possibilità di conquistare la Nazionale. Magnozzi fa in tempo a disputare 2 gare (e segnare un gol) con i biancoverdi, che a fine stagione verranno conglobati nella squadra principale della città (l’US Livorno), poi arriva la chiamata in Marina.

È di stanza nella sua città ed è ancora sotto le armi quando il Ct Vittorio Pozzo, che da tempo lo seguiva, lo chiama per i Giochi di Parigi del 1924: è Galeazzo Ciano, non ancora genero del Duce, a firmargli l’eccezionale permesso d’espatrio. E in Francia Magnozzi non delude contro Spagna, Lussemburgo e Svizzera, meritandosi gli elogi della critica. A settembre 1924 arrivano le prime gioie in azzurro: 2-2 a Milano contro la Svezia, due gol e una traversa. Per la Gazzetta del Popolo, Magnozzi, giovane pieno di potenza, impeto ed energia, non tira in porta, ma «saetta». Capitan De Vecchi, in una vignetta del Guerino, gli passa le consegne: «Se io sono il “figlio di Dio”, tu da oggi sei il “nipote di Dio”».

In azzurro riuscirà spesso a vincere la concorrenza di un incostante Cevenini III e totalizzerà 29 presenze (l’ultima l’8 maggio 1932 a Budapest) segnando 13 reti ufficiali più quella contro una Rappresentativa di Stoccolma. Parteciperà anche ad Amsterdam 1928 (azzurri terzi) e un suo gol mancato – con Mazzali, portiere dell’Uruguay, a terra – passerà alla storia: il bomber livornese aveva tirato a botta sicura ma il difensore Andrade, con un intervento alla disperata, aveva respinto di pugno, senza che l’arbitro se ne accorgesse. Di particolare rilevanza anche il successo nella Coppa Internazionale 1930, al quale aveva contribuito con un bel gol nello storico 5-0 di Budapest. Da lì in poi le chiamate, complice l’esplosione di Rossetti–Baloncieri–Libonatti, si diradano.

Il Livorno di Magnozzi, arricchito da altri grandi talenti, come il suo amicissimo Alfredo Pitto, formidabile mediano, Guglielmo Bianchi, Innocenti e i fratelli Jacoponi, diventa una delle principali realtà del calcio centro-meridionale. Del Livorno che mantiene il campo di Villa Chayes imbattuto per ben 5 anni e un giorno (dal 13 novembre 1921 al 14 novembre 1926) Magnozzi è capitano e bandiera: non disdegna di gettarsi nelle risse per difendere i compagni. Giorni felici di gol e partite memorabili, come quella dell’11 novembre 1923 (Livorno–Genoa 3-1) quando la squadra toscana, guidata dall’irlandese Jack Kirwan, pone fine all’imbattibilità del Genoa dopo 34 gare.

Mariolino rimane a Livorno fino all’estate 1930 quando scoppia la bomba del suo passaggio al Milan, dopo che il club toscano aveva respinto le offerte di Roma, Bologna e Juventus. Il Diavolo, reduce da una stagione non brillante, cerca di rilanciarsi, ma la fatalità è dietro l’angolo: proprio alla prima giornata del torneo 1930-31 è in calendario Livorno–Milan: finisce 0-0, Magnozzi, emozionatissimo, non punge e inoltre si fa male, a causa di un pestone che curerà male e che lo condizionerà per il resto della stagione. Il Livorno incassa 260 mila lire per la sua cessione, ma, scherzi della vita, retrocede per un punto, proprio all’ultima giornata.

Le sue tre stagioni al Milan lo vedono sempre in doppia cifra, ma almeno nella prima e nella terza, il risultato di squadra è deludente. Non appena il Livorno è di nuovo in A, ecco il ritorno a casa, dove viene festeggiato dai tifosi. Completa il suo “score” in campionato con l’imponente cifra di 199 reti in 299 partite.

Appende le scarpe al chiodo al termine della stagione 1935-36 e si cimenta nella nuova professione di allenatore: guida il Livorno a più riprese (1936-39, 1947-48 e 1954-56) e il Milan (1941-43), raccoglie varie esperienze nelle categorie inferiori, (Supertessile Rieti 1938-39, Alfa Romeo Milano 1939-41, Viareggio 1946-47, Lecce 1948-49 e Catania 1949-50), quindi si trasferisce negli Stati Uniti, raggiungendo la figlia Mara.

Oggi sono a lui intitolati uno dei più antichi club per tifosi d’Italia, un centro sportivo e una via di Livorno. Il figlio, Mario junior, di professione barman, si è spento nel 1999, mentre la figlia Mara, se ne è andata alla bella età di 88 anni, nel New Jersey. Nel 2001 i 30 anni dalla sua scomparsa sono stati celebrati con una mostra fotografica: a Livorno il ricordo di Magnozzi è più vivo che mai, soprattutto nei giorni in cui soffia il vento di libeccio.


https://storiedicalcio.altervista.org/b ... vento.html

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BALDOeFIERO
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Re: Fedelissimi Amaranto

Messaggio da BALDOeFIERO »

piazzamagenta ha scritto:(addirittura 7 nel 9-1 alla Gerbi Pisa)
ir blasone de ...
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Etruria
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Re: Fedelissimi Amaranto

Messaggio da Etruria »

A proposito di blasone

È giusto ricordare che, dalla fondazione al 1950,
L' Unione Sportiva Livorno
È stata una presenza fissa nella storia del calcio italiano
Essendo tra l' altro spesso protagonista.
Nel 1929 unica squadra a rappresentare la Toscana
Nella prima serie A a girone unico.
Una sorta di Atalanta dell' epoca.

Nell' atrio dello stadio i due busti
Dedicati al grande Motorino Magnozzi
E ad Armando Picchi.
Livorno ovunque giocherai
Noi siamo della Nord e non ti lasceremo mai
E tutti uniti..

Magnozzi Stua Silvestri Merlo Bimbi Lessi Picchi
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Trappola70
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Re: Fedelissimi Amaranto

Messaggio da Trappola70 »

Bel pezzo su Magnozzi ma dé...."crognolo ossia girino il piccolo della rana" non si può leggere!!
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piazza
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Re: Fedelissimi Amaranto

Messaggio da piazza »

MAURO LESSI
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Recordman di presenze col Livorno, vera Bandiera Amaranto, purtroppo ci ha lasciato qualche anno fa.
simbolo di un calcio che purtroppo non esiste più.
è notizia di qualche giorno fa, che gli verrà intitolata la tribuna dello stadio:

https://iltirreno.gelocal.it/livorno/sp ... 1.40123538


Intervista quando compì 80 anni:

LIVORNO. Una volta Nereo Rocco, mitico allenatore del Milan, ai suoi difensori disse: «Ragazzi, in area di rigore volate tutto, possibilmente anche il pallone…». Ecco, Mauro Lessi era così: volava tutto. Un terzino di tempra, di carattere, spietato, temuto. Ogni partita per Mauro era una battaglia, un duello aspro, il tributo che pagava volentieri per l'attaccamento alla maglia, ai tifosi e alla sua città. È recordman di presenze (368), 14 campionati, due promozioni in B, nessuna retrocessione, una ventina di derby col Pisa, persi pochissimi. Un amore infinito, quello di Mauro, che apre il suo album dei ricordi non solo nel giorno del suo compleanno ma soprattutto a un mese da quello del Livorno del Centenario.

Allora Mauro, ne hai 80, arrivasti nelle giovanili del Livorno a 15. Insomma, in questi 65 anni hai vissuto pienamente l'amaranto dal dentro e dal fuori. Partiamo dall'inizio?

«Sì, e dico subito una cosa: per me è esistito ed esiste solo il Livorno. Io seguo tutto il calcio ma nel mio cuore c'è solo l'amaranto. Seguivo con simpatia l'Inter quando c'era Armandino Picchi, seguo la Juve di Giorgio Chiellini e Massimiliano Allegri, e anche il Parma che arranca di Alessandro Lucarelli e Donadoni. Ma tutto qui. Per il resto Livorno e basta».

Il piccolo terzino-mastino dove nasce?

«Nasce in Coteto, il mio rione, e giocava su un ex campo di concentramento tedesco, e su un campetto alle spalle della chiesa dei Salesiani. Palla sbilenca, ore e ore a divertici».

E tuo padre cosa ne pensava?

«Mio padre Gino mi raccontava delle partite a Villa Chayes, e anche del Livorno che sfiorò lo scudetto nel 42-43. Però a un certo punto, dopo che dalle giovanili del Livorno mi misero nella rosa della prima squadra si arrabbiò quando decisi di lasciare l'Iti. Del resto come facevo, con tutte le trasferte…».

All'Istituto tecnico vincesti anche i campionati studenteschi, sui 100 metri…

«Ero velocissimo, mi allenavano i prof. Biasi e Ciolli, il padre di Paolo, ex insegnante anche lui e ora provetto cuoco».

Ma non rischiasti di finire all'ala?

«No. Si accorsero subito che ero nato per fare il terzino sinistro. Eppoi avevo grinta, capacità di stare sull'uomo. Entravo duro, ma mai per fare male, la rapidità e la velocità mi aiutavano tanto».

Una vita col "3" sulle spalle…

«Già, e me lo tenevo stretto. Una volta mi dissero che stavo indossando la maglia che era appartenuta a Lovagnini nell'anno del quasi scudetto e quando la infilavo, seppur un po' strucita, mi sentivo più forte. Pensa un po' com'è cambiato il calcio…».

Già, è cambiato. Ne parliamo? Il calcio di Lessi, anni 50-60-70 e il calcio di ora. E ancora cosa rimpiangi?

«È un domandone, parto dalla fine, dagli anni della gioventù (gli occhi si arrossano per qualche istante). Ero felice e fiero di giocare nel Livorno. Vivevo pienamente quegli anni, in campo e nella vita di tutti i giorni, con Capecchi e Armandino ci divertivamo anche fuori dal campo. La gente mi voleva bene e io ho sempre dato tutto me stesso per non deludere. Lo stadio era sempre pieno, sin sopra la torretta, i tifosi ci davano una carica incredibile. Poi sono cambiate tante cose, dalle sostituzioni, prima per infortunio poi per tattica, ai cartellini dei giocatori, quindi il mercato sempre aperto o quasi, i retropassaggi al portiere, i falli da dietro, il calcio spalmato… Ma quello che vedo in generale è che vengono a mancare sempre più le "bandiere", il senso di appartenenza è raro da trovare. Ai miei tempi ci si ritrovava avversari con la stessa maglia anche dopo sette-otto anni. Però di certi giocatori ci si ricorda ancora…».

Maglia, debutto, emozione. Anche paura?

«Sono sempre stato un emotivo. Scalpitavo come un cavallo alla partenza. Mi fece debuttare Mario Magnozzi il 20 dicembre del 1953. Ma a farmi prendere in considerazione fu il portiere Renato Giudici che mi tenne vicino a sé anche nel sottopassaggio. Mi fece sorridere, allentò la tensione, mi dette coraggio. Bella stagione, 21 presenze. L'anno dopo il 54-55, volammo in B. Bella squadra con Dreossi in porta io e Simonti terzini, c'erano Balleri, Bimbi e Cappa. Bronzoni e Bernardis, poi Isolani, Ceccherelli, Bodini».

A fine campionato la doccia fredda…

«Mi chiamano in sede e mi comunicano che ero stato dato in prestito al Pontedera in serie D… Credetti di aver perso tutto. Mi rimboccai le maniche e disputati una bellissima stagione. In estate andò via Magnozzi e arrivò Viani. Che disse subito, prendetemi quel "3" del Pontedera e la mia vita cambiò».

Ma ritrovasti, nel 55-56, il Livorno di nuovo in C

«Sì, perché cambiarono troppo».

E dovesti aspettare il 1963-64 per rivedere la B…

«Tante le amarezze. Ma ce la facemmo perché la società di Arno Ardisson affidò al bravo Guido Mazzetti una bella squadra, che già veniva da una bella stagione. Bellinelli (e Gimelli e anche Pistolesi) in porta, io e Balestri terzini, Varljen stopper c'era anche Caleffi, poi in attacco Mascalaito, Virgili e Colombo, a centrocampo Ribechini, Basilico o Cartasegna. Davvero un bel gruppo».

Però tre anni prima ti acquistò il Torino, serie A.

«Sì. Era la stagione 1960-61. Debuttai a Bergamo il 16 ottobre. Ma in quella stagione mi infortunai al tendine d'Achille, non mi ambientai, iniziai a sentire la nostalgia di casa. Infatti sposai e tornai a Livorno»

Mauro, i tuoi maestri, anche tra colleghi più anziani.

«Mido Bimbi e Dedo Simonti mi insegnarono e guidarono tanto. Ma nei ragazzini ebbi come tecnico Mario Zidarich, ex attaccante del Livorno 42-43, davvero bravo».

I tecnici preferiti che hai avuto.

«Carlo Parola davanti a tutti, poi Viani, Magnozzi, Mazzetti, Silvestri, Remondini».

Gli amici del cuore.

«Picchi, Balleri, Capecchi, Cappa, Taccolino, Baiardo, Puccinelli Garzelli, Giampaglia, Maggini, Nastasio, Bellinelli e Gori».

Il giocatore amaranto più versatile.

«Costanzo Balleri, gli ho visto ricoprire tutti i ruoli, anche di portiere perché in gara s'era infortunato il nostro estremo difensore. Ma c'è anche Picchi: ha giocato da mezz'ala, mediano e libero».

I difensori grintosi del Livorno che ti sono piaciuti.

«Balestri, Depetrini, Caleffi, Cairoli, Papadopulo, Baiardo, Bruschini».

Ma qualche scherzo fatto o ricevuto lo ricordi?

«Eravamo in ritiro e Basilico al cameriere continuava a ripetere "per favore abbondante…". Tutti i giorni. Allora vado a comprare una tagliola per topi, gliela feci ricoprire col minestrone e quando mise il cucchiaio scattò: non smettevamo più di ridere».

Un altro, dai…

«Colombo, lo chiamavamo Colombino perché era basso, venne nello spogliatoio con le scarpette nuove. Io gliele imbullettai alte al muro. Me la vidi brutta, s'incavolò, minacciò di dare fuoco a tutta la nostra roba. Non sa ancora chi fu…».

Uno scontro in campo non voluto e uno voluto.

«Contro il Genoa colpii alla testa Attilio Perotti, il nostro ex allenatore-dirigente (persona corretta, nonché preparata non solo di calcio, ndr). Rimessa laterale, lui scatta, io a gamba alta mi giro e lo centro. Testa sanguinante e fasciata. Mi dispiacque tanto. Altro episodio. Un tizio a Livorno calpesta volutamente la mano a Bellinelli in uscita. "Renato, ora ci penso io…". Lo feci nero. Nel ritorno altre botte. Alla fine mi disse: "Ti ammiro perché in casa o fuori giochi sempre alla stessa maniera…"».

Hai avuto anche un'esperienza da allenatore sulla panchina amaranto, nella stagione 74-75 che vide alternarsi tre tecnici.

«Era partito Lojacono, poi chiamarono me che arrivavo dalla panchina del Pontedera, quindi toccò a Puccinelli. Ci salvammo. Ma avremmo voluto fare molto di più perché avevamo Romoletto Graziani, Mondello, Luteriani, Mucci, Martin, Porri, Torresani, Cracchiolo, Garzelli, Mascella in porta».

Da giocatore invece chiudesti al termine del campionato 68-69.

«Ufficialmente sì. Avevo dolori ai tendini, era un calvario. Armandino mi fece andare da tutti i medici più affermati, ma il dolore non se ne andava. Restai in "rosa" sino al '70. Avevo 35 anni, avrei potuto giocare almeno fino a 38. E questo mi è dispiaciuto».

Ma hai lasciato una traccia indelebile, i tifosi ti ricordano ancora con affetto.

«Questo è il mio orgoglio (occhi lucidi) perché alla maglia ho dato tutto me stesso. Recentemente ho apprezzato molto il premio "Atleta livornese nella storia" che mi è stato consegnato al Panathlon Club dal presidente Roberta Naldini. Ora aspetto con entusiasmo la festa del Centenario».

E cresce un piccolo Lessi...

«Mio nipote Filippo, figlio di Rossella, è terzino destro nel Picchi, dicono che se la cavi bene perché io non vado a vederlo per non star male. Ma sono orgoglioso anche di sua sorella Vittoria che gioca a tennis, e poi ho l'altro figlio di Melania, Leonardo che studia alla Cattolica di Milano. Vado fiero di tutti e tre».


https://iltirreno.gelocal.it/livorno/sp ... 1.10680979
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Re: Fedelissimi Amaranto

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ANDREA LUCI
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Ti squaglia l’anima quel calore soffocante, ti mangia dentro. È un calore troppo forte per fermarsi all’altoforno della Lucchini, alla Torre del sale o a Piazza Bovio. Ti entra dentro e ti accompagna tutta la vita, anche lontanissimo da Piombino ogni tanto arriva una lingua di fuoco e ti ustiona.
15 ottobre 1967, è domenica. Allo Stadio Comunale di Torino il Toro di Meroni sfida la Sampdoria. Questa è solo un’anticamera del racconto della nostra storia, ma è fondamentale per capire le ustioni che ti lascia Piombino.
Combin, Francesconi, Combin, Vieri, Moschino e ancora Combin. Torino quattro Sampdoria due.
Aldo Agroppi, toscanaccio di Piombino, esordisce dal primo minuto in maglia granata.
Gigi Meroni, eroe del Comunale, morirà quella sera a 24 anni.
Ti brucia dentro e ti ustiona, con cicatrici che ti porti dentro per tutta la vita.
Il 30 marzo 1985 a Piombino nasce Andrea Luci.
Non si tratta di un volo pindarico: quel pomeriggio di fine marzo in via Forlanini all’ospedale di Piombino c’era anche Aldo Agroppi. Nasceva suo nipote Andrea.
Quando cresci con uno zio che ti racconta dei 90 minuti passati sullo stesso campo di Meroni non puoi far altro che prendere un pallone tra i piedi e giocare. In questo caso particolare pure bene.
Dopo svariati anni nel Salivoli, formazione piombinese, a 11 anni Andrea si trasferisce a Firenze e veste la maglia viola fino al 2002, quando con una presumibile disperazione dello zio Aldo arriva la notizia che ti cambia la vita: la Juve ti cerca. Tanta gavetta tra i ragazzetti bianconeri e poi è l’ora di diventare grandi. Sassari, Pescara e Ascoli sono le tre piazze che vedono sbocciare il talento del centrocampista piombinese. A 21 anni viene acquistato alle buste dopo un’esperienza in prestito proprio dalla società marchigiana che lo vedrà protagonista di tre anni eccezionali: 104 presenze in Serie B, 7 in Coppa e 4 goal.
Meravigliosa Piazza del Popolo, ci mancherebbe, ma ora si torna a casa. O quasi.

Nel 2010 viene acquistato a titolo definitivo dal Livorno, a due passi dalla sua Piombino, e dopo una stagione al top diventa subito una delle fondamenta di quella squadra e un beniamino di una piazza dove l’animo operaio forse conta anche più che vincere. Piombino, in queste cose, ti agevola.
Stadio Bentegodi di Verona, Hellas Verona-Livorno. Dopo i cori dei tifosi gialloblu oltraggianti la memoria di Piermario Morosini l’aria è tesissima. Luca Mazzoni, portiere livornese e del Livorno, presente in tribuna per squalifica verrà aggredito da alcuni tifosi veronesi, Alfred Duncan sarà oggetto di “buu” razzisti. E Luci? Dopo i cori su Morosini nella gara di andata non aveva usato molti giri di parole proponendo la radiazione per la squadra veneta, adesso invece è lì con il pugno chiuso. Punho fechado, come direbbe un certo Dottore dalle parti di San Paolo. Non li guarda neanche quei tifosi che inveiscono contro di lui, volta le spalle e cammina verso la panchina. Prende il giacchetto ed un meraviglioso pugno sinistro si schiude in cielo. Quel pugno sinistro chiuso è un qualcosa di inaspettato, insperato e bellissimo. Quel pugno sinistro chiuso è il gesto giusto al momento giusto, e va goduto in ogni singolo centimetro.
Basta conoscere un minimo l’animo livornese per capire che questo gesto dalle parti dell’Ardenza non ha lasciato indifferenti: da quel momento Andrea Luci è stato Livorno, e Livorno sarà per sempre Andrea Luci.
Il fuoco delle acciaierie però torna a bruciarti quando meno te lo aspetti, e soprattutto nel punto dove fa più male.
Nel 2013 al figlio di sei anni viene diagnosticata la fibrodisplasia ossificante progressiva, malattia genetica che colpisce un bambino su due milioni.
Alla notizia partì una gara di solidarietà in tutta Italia per finanziare la ricerca contro la FOP.
Livorno, come da promessa, in prima fila.
Fa male, ma Piombino è operaia ed è abituata al fuoco, al calore e alle scottature. Alla fine la lega di ferro e carbonio diventerà acciaio e non importerà quanto tu ti sia bruciato.
“Insieme a te Capitano per la più grande delle battaglie”.


Link: https://www.minutosettantotto.it/andrea ... a-acciaio/



317 presenze in campionato con la nostra maglia, secondo di sempre proprio dietro Lessi.
poteva anche battere il record ma si sa, nel calcio di Spinelli le favole finiscono sempre a cazzo.
Grande Giocatore, Grande Capitano, Grande Uomo.
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Re: Fedelissimi Amaranto

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Etruria ha scritto: ven 9 apr 2021, 16:32 Mario Stua
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Mario Stua era di origine triestina, venne a Livorno poco più che ventenne e ci giocò ben ben 10 anni, dal 1937/38 al 1947/48.
Fisico possente, alto 1 metro e novanta, centrocampista inesauribile, segnò nel Livorno oltre 50 reti.
Nella stagione 1939/40 in serie B segnò ben 18 reti con cui contribuì alla promozione del Livorno nella massima serie.
Giocò nel grande Livorno che sfiorò lo scudetto 1942/43.
In quell'anno segnò una tripletta all'Inter che fu sconfitta all'Ardenza per 4 a 2. (https://www.transfermarkt.bg/spielberic ... ht/2398586)
Oggi è ricordato con il nome di un club amaranto.



Nato nel comune di Diano Marina (IM) da una famiglia di origine triestina il 10 gennaio 1916, il giovane Mario muove i primi passi proprio in una formazione dell’estremo nord est del Paese nella stagione 1934-35, quando, con la maglia della Ponziana, totalizza 8 presenze condite da 3 reti. L’anno successivo segue in Puglia il suo maestro Pietro Piselli, andando ad indossare la maglia del Manfredonia, formazione con la quale conquista la promozione al campionato di serie C per la stagione 1936-37. L’impatto di Stua con la terza serie nazionale è tanto convincente da indurre il Livorno, neopromosso in Serie A, ad acquistarlo insieme al pescarese Umberto De Angelis ed al sardo Pietro Carta.
Dopo due annate di ambientamento, nelle quali trova progressivamente spazio in prima squadra, terminate con la retrocessione in B degli amaranto, si mette in evidenza nella stagione 1939-40 disputata fra i cadetti, quando forma con Vinicio Viani una coppia d’attacco micidiale capace di andare a segno più di 50 volte (33 Viani, capocannoniere del torneo, 18 Stua) sulle ben 84 complessive di squadra, e trascina la formazione all’immediato ritorno in A.
Nei successivi tre anni in Toscana Stua arretra progressivamente la sua posizione in campo, da seconda punta a interno-regista, mantenendo comunque un rendimento elevato anche se ovviamente il numero delle realizzazioni scende (15 in tre anni).
Nella stagione 1942-43, in particolare, è protagonista con 30 presenze su 30 e 8 reti della straordinaria cavalcata che porta il Livorno a sfiorare lo scudetto, superato di un punto solo all’ultima giornata dal Grande Torino.
Durante l’interruzione dei campionati per la guerra, Stua rientra in Venezia Giulia e disputa il Campionato Alta Italia 1944, nelle file dell’Ampelea di Isola d’Istria, che, rinforzata da altri giocatori di origine giuliana quali Grezar, Ispiro ed Eliani, giunge sorprendentemente alle semifinali interregionali dove viene superata solo dal Venezia.
Alla fine della seconda guerra mondiale il lungo centrocampista torna a Livorno per disputare, con la società ribattezzata Pro Livorno l’anomalo campionato 1945-46, qualificandosi al girone finale concluso poi al settimo posto. Resta coi toscani per altri due campionati da titolare in Serie A, quindi nell’estate 1948 si trasferisce al Como, in Serie B. I lariani, col determinante contributo di Stua in regia (va a segno in oltre 10 occasioni) dominano il torneo conquistando per la prima volta la promozione in A con ben quattro giornate di anticipo.
L’anno successivo la sua esperienza si rivela fondamentale nell’economia del gioco lariano: affiancato da giovani di belle speranze come il difensore Moltrasio e il centrocampista Mario Bergamaschi, Stua diventa il punto di riferimento di una formazione capace di ottenere uno splendido sesto posto. Resta, pur se da rincalzo, a Como per altre due stagioni, per poi concludere la carriera con la maglia del Cantù.


Fra l'altro, recordman di presenze in maglia amaranto in serie A (210 presenze).
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Re: Fedelissimi Amaranto

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Etruria ha scritto: ven 9 apr 2021, 16:32 Mido Bimbi
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La sua carriera è legata al Livorno, con cui ha giocato a più riprese e disputato due campionati di Serie A, arrivando con la squadra al 14º posto in classifica nella stagione 1947-1948 e giocando con i toscani più di 110 partite; nel massimo campionato italiano giocò anche con la Lazio nella stagione 1950-1951, con cui arrivò al quarto posto in classifica, per passare l'anno successivo in prestito all'Udinese,[3] sempre in Serie A, con cui arrivò 12º.
https://it.wikipedia.org/wiki/Mido_Bimbi

La carriera dell'ex mediano Mido Bimbi, è stata indissolubilmente legata alla squadra amaranto, con cui ha giocato in Serie A, B e C, collezionando in tutto ben 111 gare in campionato e 17 in Coppa Italia in sei stagioni, mettendo a segno due reti, nonostante il ruolo da difensore o da centrocampista arretrato.
Chiusa la carriera agonistica, Bimbi ha svolto l'attività di commerciante e si è impegnato nelle prime scuole calcio private realizzate a Livorno. Si è anche impegnato nel Livorno calcio, anche se per la società che lo ha lanciato non ha mai svolto il ruolo di primo allenatore.
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Etruria
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Re: Fedelissimi Amaranto

Messaggio da Etruria »

Grande Mido,
Quando giocavo al Picchi( dove collaboravi)
Mi parlavi sempre di quel' grande Livorno'
Con emozione e commozione
Livorno ovunque giocherai
Noi siamo della Nord e non ti lasceremo mai
E tutti uniti..

Magnozzi Stua Silvestri Merlo Bimbi Lessi Picchi
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Re: Fedelissimi Amaranto

Messaggio da Etruria »

Altro grande

Gino Merlo
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Portierone del Livorno del dopoguerra

Lorenzi, toscano di Monsummano
E cannoniere dell' Inter
Lo descrisse come portiere seminvincibile
E avversario esemplare

Rimase legato alla maglia
E fu allenatore di Stefano Tacconi
Nel Livorno di Burgnich mi pare

214 presenze in maglia amaranto dal 1946 al 1952.
Ultima modifica di Etruria il mer 12 mag 2021, 22:35, modificato 1 volta in totale.
Livorno ovunque giocherai
Noi siamo della Nord e non ti lasceremo mai
E tutti uniti..

Magnozzi Stua Silvestri Merlo Bimbi Lessi Picchi
Lupo Balleri Maggini Miguel Cristiano Lucarelli IGOR
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