Testimonianza e tradizione...a briglia sciolta

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Etruria
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Re: Testimonianza e tradizione...a briglia sciolta

Messaggio da Etruria »

A suo modo
Chiara e concisa..
Livorno ovunque giocherai
Noi siamo della Nord e non ti lasceremo mai
E tutti uniti..

Magnozzi Stua Silvestri Merlo Bimbi Lessi Picchi
Lupo Balleri Maggini Miguel Cristiano Lucarelli IGOR
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Dattero
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Re: Testimonianza e tradizione...a briglia sciolta

Messaggio da Dattero »

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Siamo i meglio der mondo.
Cianciua ci fai veni' l'antua
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19=L=15
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Re: Testimonianza e tradizione...a briglia sciolta

Messaggio da 19=L=15 »

Https://en.m.wikipedia.org/wiki/Livorno,_Suriname

Una Livorno in sud America che quasi nessuno conosce credo....sogni di andarci prima o poi
"Bandera" amaranto, stretta in fronte, carica di dolor, ma terrà sempre fronte
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Jobbe
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Re: Testimonianza e tradizione...a briglia sciolta

Messaggio da Jobbe »

L'ho appena trovata on-line...non ne conosco l'autore

LIVORNO TO LOVE
Gente di scoglio
che con sapienza il mare doma
nel governo del porto
quasi tutti vantano un diploma

Tra fetori fumi e tanfi
di raffinerie inquinanti
la costa offre in regalo
paradisi, magie ed incanti

I bagni Pancaldi e i Lido,
la torre e il faro di Meloria
gli struggenti panorami
di Castel Sonnino e Calafuria

Dalla macchia profumata
scorgi il mare a ogni spiraglio
chi c'ha la testa dura...
in quel di Livorno troverà 'r su' scoglio

Mascagni è terrazza di tramonti, di lune e di tormenti
crogiolo di pegni d'amore ed eterni sentimenti

Livorno tra canali e fossi
rema contro l'ingiustizia
la livornesità prorompe ovunque
quando c'è effetto Venezia

L'arcobaleno acceso
esplode un rosso dominante
col vento di ponente:
acqua fin'a' 'oglioni e pesci niente

Corea Venezia Ardenza...
Ovo Sodo e il porto industriale
Virzì e Bobo Rondelli
li hanno narrati in modo magistrale

Bobo cantore visionario
e impertinente come mai
tra le vecchie case d'operai
scorse il miraggio delle Hawaii

Mare pescoso ricco di polpi...
ricci triglie e d'arselline
muggini ragni cernie
e pregiatissime oratine

Per gli operai braccianti
e i portuali a paga corta
cacciucco, ponce...
cinque e cinque pane e torta

Sono i vessilli
dell'antica tradizione livornese
bombe ghiotte e sensazioni
di stravizio antiborghese

Spaghetti saltati ar moccolo
all'osteria del Melafumo
chi n'abusa in penitenza
di corsa e a piedi gnudi a Montenero

Livorno che di rosso
ha arroventato anime e cuori
vinti i Barbareschi
eresse il marmo ai Quattro Mori

Quando di stelle e strisce
fu travolgente l'invasione
piovvero bombe soldi
e sbocciò r' quinto padiglione

Il mercato nero
imperversava con furore
bordelli e troie
a tempo pieno e a tutte l'ore

Tombolo diventò presto
la culla dei dannati
regno di sciuscià magnaccia
e tanti disertati

Fu così che nel contesto livornese
e nei paraggi
l'economia di guerra dilagò
facendo ostaggi

Col decimo porto si propagò
il bengodi e l'eldorado
saltò il confine tra lecito furtivo
e fu un degrado

Segnorine da dolce compagnia
per chi era solo
infuriò l'epidemia del mal francese
e dello scolo

accadde allor' che i resti
dei poveri malcapitati
al cimitero dei Lupi
finirono in fosse rinterrati

Infuriava la miseria
e la fame divenne un'amicona
raccontano però che
la minestra riscardata 'n fu mai bona

Son tutte storie di un tempo
rotto a ogni pasticcio
spazzate in fretta e furia poi
dal vento di libeccio

le folate di libeccio scoperchian la grondaia
e portano spesso le scurregge da Capraia

maremma 'mpestata è 'imprecazione demodé
'mperversa oggi: levati di 'ulo e boia dé

Liburna si chiamò
nei suoi remoti e antichi cenci
ben presto lievitò
di potte bui di 'ulo e ponci

Livorno che straripa di bimbe belle
nell'ora dello struscio
ma è sempre meglio un morto 'n casa...
che 'n pisano all'uscio
La vita è quella malattia inguaribile che inevitabilmente conduce alla morte
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Pippoamaranto87
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Re: Testimonianza e tradizione...a briglia sciolta

Messaggio da Pippoamaranto87 »

PERCHE' TIFI LIVORNO


Quando mi chiedono del perché io tifi Livorno, li guardo, ammicco un sorriso e vado via.
Il Livorno non è solo la squadra della città che amo, sarebbe troppo banale, troppo semplice.
Livorno non si spiega, si vive.
E se provi a guardare gli occhi di un livornese mentre parla ci vedi tutto quello che non trovi da nessun' altra parte.
E ti ci tuffi dentro...ci rimani affascinato, innamorato.
E capisci perché Livorno è un mondo a parte.
E non c'è un angolo di città che non si racconta, e non c'è tramonto che non si colori di amaranto.
Qui le parole le porta via il vento... perché
l' essere conta più dell'apparire.
E mentre in tutto il resto della Toscana si fanno le gare a chi ce l' ha più lungo, qui si vive di sostanza.
Non ci sono confini a Livorno, non c'è miseria umana, non c'è vita che non vale la pena di essere vissuta.
Livorno ti ascolta, ti mette davanti uno specchio e non ti nasconde la realtà.
Ti abbatte le barriere e ti fa viaggiare per mari in tempesta e tutte le volte che toccherai terra capirai cosa riesce ad offrirti questa città.
Livorno è forte, è testarda, è passionale, ed è pronta a donarsi a te penetrandoti nelle viscere, impossessandosi della tua anima, e capisci che è unica.
Qui impari ad amare, e ad ogni lezione ti spogli di un pezzo di armatura fino a denudarti completamente, senza rimorsi, senza rimpianti.
Emozioni che si vivono sulla pelle, emozioni che vanno provate.
(CIT.)
E non ci interessa dove giocherai alza gli occhi e ci saremo noi 🇱🇻
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Eptah
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Re: Testimonianza e tradizione...a briglia sciolta

Messaggio da Eptah »

https://www.bbc.com/travel/article/2022 ... k.facebook

"The Livornese think there is no better city in the world. But judging by the number of tourists who come to Livorno, they are just saying it to themselves."
:D
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piazza
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Re: Testimonianza e tradizione...a briglia sciolta

Messaggio da piazza »

SALUTAMI LIVORNO di Curzio Malaparte

Non ero mai stato a Livorno, e la prima volta che m'incontrai con dei livornesi m'innamorò la loro parlata larga e cantante, e insieme il rosso delle loro labbra. Un rosso che non era quella vinoso, paonazzo, della gente di mare, né il rosa pallido di tutti gli altri toscani: ma un bel vermiglio, proprio il vermiglio del sangue. E le labbra eran giovani, di ragazzi sui vent'anni che avevano lasciato la casa, la bottega e il porto per correre ad arruolarsi volontari nella Brigata Cacciatori delle Alpi, quella di Garibaldi. S'era all'inizio della guerra, ai primi di giugno del 1915, a Perugia, accantonati nel convento francescano di Monte Ripido, appena fuori porta a pochi passi dalla polveriera. Si dormiva nelle celle dei frati, si coglieva l'insalata nell' orto, si consumava il rancio nel refettorio, e la prigione era in sacrestia. Noi toscani eravamo in buon numero, diciassette di Prato, una ventina di Livorno, qualche pisano, ma pochi; di fiorentini neppur l'ombra. Il resto eran volontari d'ogni parte d'Italia, specie delle Romagne. E fosse la disciplina, fosse la novità e la semplicità di quella vita, fosse l'assenza di fiorentini, si viveva in santa pace, s'andava d'accordo come fratelli, ci si voleva tutti bene, senza liti, senza invidie e senza gelosie. La parlata dei livornesi, larga, cadenzata, sonora, al tempo stesso violenta e dolce, mi pareva nascesse dall'ebrezza di un sangue troppo vivo e ricco. Le parole uscivan loro di bocca già tutte fatte, rotonde, pienotte, si sentiva che provavan gusto a pronunziarle, a dar loro quell'accento, quella cadenza, quella forza. Eran parole in forma di seni giovani, di frutti maturi e polposi, pesche, albicocche, susine, pomodori, e dovevan lasciar nel palato un sapore forte e soave. Era forse il succo di quelle parole che tingeva di vermiglio le loro labbra carnose. Se chiudevo gli occhi, ascoltandoli, mi sembrava di veder sgorgare dalla loro bocca, come da una cornucopia, un fiume di bei frutti maturi: ne sentivo anch'io il sapore caldo e profumato, e pensavo che la lingua toscana, così nobile e magra, prendeva da quella pronuncia ricca, pingue, da quell'accento cantante, da quella cadenza felice, un tono dovizioso, quasi orientale. Immaginavo Livorno come una città opulenta, dalle vie larghissime, dai palazzi sontuosi, affacciata su un mare denso, d'un azzurro cruento, dove i tramonti mettevano un riflesso di vigna, di verziere, di frutteto, il riverbero di un'estate d'oro, di un autunno colmo di doni. A poco a poco avevo disertato la compagnia dei miei pratesi: mi parevano toscani pallidi, sbiaditi, in confronto dei livornesi. I quali son certo il popolo più genuino e sincero che io conosca: e quell'esser, la loro città, nata nella granducale età barocca, li fa barocchi, ma a modo lora, senza tanti riccioli e tanti fronzoli. Gonfi, ma senza fronzoli. Come i loro palazzi, le loro chiese, le loro donne. E chiacchieroni, ma di poche parole. Intonati a meraviglia, direi, se non proprio con la storia della Toscana, che è magra, arguta, cattiva e tien tutta nelle Cronache di Dino Compagni e in alcune pagine del Macchiavelli, col paesaggio loro, con quei dolci colli che digradano in mare, quella campagna verde e gialla che s'impadula insensibilmente, e diventa maremma quando meno te l'aspetti. Imparentati, con quel loro paesaggio solenne e delicato, da cui l'ulivo, il pino e il leccio traggono, più che non diano, dignità misura. Dalla descrizione che i volontari livornesi mi facevano della loro citta, ero venuto nel sospetto, per me doloroso, che Firenze non fosse più la capitale della Toscana, che Livorno le avesse rubato il posto. «O dove le trovi» mi dicevano «dove le trovi a Firenze quelle piazze, quelle strade, quei palazzi? O i Quattro Mori? O dove lo trovi il mare? E il porto? Il porto dove lo trovi?». Più che il mare, m'ero persuaso che i livornesi amino il porto. Me ne parlavano come di un luogo di delizia, come di un teatro dove si svolgono scene meravigliose, e avvengono straordinari incontri, dove le più varie e strane genti del mondo si ritrovano come a casa loro, e si raccolgono le mercanzie più preziose del mondo e del mare. Pirati, mercanti, marinai dal viso bruciato dal salmastro, negri, arabi, inglesi, greci, chicchi di caffè, russi pelosi e malinconici, donne di tutti i climi, odalische coperte di veli, indiane col puntino rosso in mezzo alla fronte, e botti di vino profumato, montagne di stoffe, di droghe, di tabacco biondo e navi, navi, navi, che vanno e vengano riempiendo il cielo di nubi di fumo e di bagliori bianchi di vele Parlavano della loro città, me ne descrivevano le bellezze e le grazie con pudica gelosia.
Il più ingenuo, il più innamorato era un ragazzo sui diciotto anni, maggiore di me di un anno, ed eravamo i più giovani di tutta la Brigata. Si chiamava Antenore e faceva non so che mestiere nobile e rozzo nel porto. «Tu vedessi Livolno!» - esclamava con quel suo accento largo e sonoro, e non finiva di decantarmi le magnificenze e le delizie della sua città, il cacciucco, le torpedini che son bicchieroni di rhum con uno schizzo di caffè, le passeggiate all' Ardenza, nei tramonti d'estate, e quell'odore di catrame, di salmastro, di pesce secco, quell'odore di cambusa e di scoglio.
«Dopo la guerra» mi diceva «ti porto con me a Livolno, a casa mia». E rideva, mi pigliava a braccetto, mi picchiava con le mani aperte sulle spalle, era alto e forte, e a quelle manate io rintronavo tutto. Ai primi di luglio ci mandarono al fronte, salimmo al Col di Lana. Il nostro reggimento doveva occupare i costoni di Agai e Salesei, difesi da profonde trincee di calcestruzzo, da nidi di mitragliatrici, da siepi di ferro spinato.
Appena ùscimmo dalle case di Digonera, in fondo alla valle del Cordevole, e prendemmo per l'erta che conduce al villaggio di Salesei, le batterie nemiche del Forte la Corte ci diedero il primo saluto, fu come il fulmine che rimbalza sulle rupi, e schianta gli alberi, i pastori, le greggi. «Sotto ragazzi, sotto!» si udiva gridare intorno. Antenore mi aveva agguantato per un braccio, mi tirava su, vociando: parlava in mezzo ai bagliori gialli e rossi degli SCOPPI, un marinaio sul ponte di una nave in fiamme. Ora si camminava in una selva d'abeti, era già sera, il cannone taceva, un chiaro e gelido silenzio scendeva dagli alti monti, dal cielo tutto tremante di pallide stelle. Giungemmo a Salisei, attraversando la strada delle Dolimiti, le case di Livinallongo bruciavano sulla nostra sinistra, la voce del fiume saliva dalla valle nera, empiva a poco a poco la notte. Qualche morto giaceva riverso nei fossati, tra i cespugli, sotto gli abeti: più su in una radura del bosco, splendevano argentee nell'umida luna le croci di un piccolo cimitero di guerra.
Cimitero di fanteria forse un giorno ci vengo a cuccà, cantavano i soldati. A un tratto un rauco clamore venne giù rotolando lungo le pendici del Col di Lana. Erano i fanti della Brigata Calabria, che attaccavano il Vallone della Morte. Quel lontano vociare confuso, quel crepitio di fucili, i tonfi sordi delle bombe a mano, gli urli dei feriti mi stringevano il cuore.
Ma Antenore rideva, canticchiava, si voltava indietro ogni tanto a gridare ai compagni: «Forza Livolno!». A un certo punto ci fecero stendere al riparo di alcune rocce. Davanti a noi, attraverso i rami degli abeti, si intravedeva un bel prato verde, la luna si rifletteva nell'erba come in un lago, sulla sponda opposta del prato luccicavano i reticolati, biancheggiavano i sacchetti a terra di una trincea. Disteso al mio fianco, Antenore taceva, e ogni po' mi guardava, un sorriso triste gli rompeva l'ombra del viso. Poi a un tratto mi disse: «Se vai a Livolno prima di me, ricordati di mandarmi una cartolina». All'alba venne l'ordine di attaccare, ci buttammo di corsa nel bel prato verde, e Antenore subito cadde, tuffò il viso nell'erba. Lo trascinai dietro il tronco di un abete, gli sollevai la testa. Sorrideva. E gli sgorgavan di bocca fiotti di sangue vermiglio come frutti polposi, maturi. Intorno le pallottole sibilavano rabbiose, Antenore mi fissava, voleva parlare. Fece uno sforzo: «Salutami Livolno» disse, e rovesciò la testa all'indietro.
Alcuni mesi dopo, andando in licenza, mi svegliai alla stazione di Pisa. Scesi dalla tradotta, mi misi a girellare in cerca del treno per Firenze e mi trovai senza accorgermene in quello per Livorno. Era una mattina di gennaio, fredda e trasparente, la voce e l'odore del mare mi vennero incontro per le larghe strade ancora deserte. Mi pareva di camminare accanto ad Antenore, la sua vicinanza m'intiepidiva la guancia, il braccio, il fianco. Lo sentivo respirare, sorridere.
Vagai tutto il giorno per la città. Livorno era già per me, che la vedevo per la prima volta, una città cara, familiare, ritrovavo e riconoscevo a ogni passo i luoghi di una mia misteriosa infanzia, gli aspetti di una città sognata, morta per sempre. Verso sera comprai una cartolina da un tabaccaio, mi misi al tavolino di un caffè del porto, e scrissi sulla cartolina l'indirizzo di Antenore:
Soldato del 51° Fanteria, Cimitero di guerra della Brigata Cacciatori delle Alpi, Salesei, Col di Lana.
Imbucai la cartolina alla stazione, e vedevo il postino militare salire da Digonera a Salesei, prendere per il sentiero attraverso il bosco, spingere il cancellino di legno, curvandosi sulle croci e leggere i nomi dei miei compagni, trovar la croce di Antenore, posar la cartolina sulla fossa ricoperta di neve. Sulla cartolina avevo scritto:
«Tanti saluti da Livolno».
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Fabio
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Re: Testimonianza e tradizione...a briglia sciolta

Messaggio da Fabio »

Luccioni! Da fare leggere nelle scuole!
= There is always hope =
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Dattero
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Re: Testimonianza e tradizione...a briglia sciolta

Messaggio da Dattero »

Una lacrima è scesa davvero.
Superbo.
Cianciua ci fai veni' l'antua
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