Vernacoliere

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Fabio
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Re: Vernacoliere

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19=L=15
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Re: Vernacoliere

Messaggio da 19=L=15 »

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"Bandera" amaranto, stretta in fronte, carica di dolor, ma terrà sempre fronte
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piazza
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Re: Vernacoliere

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Dattero
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Re: Vernacoliere

Messaggio da Dattero »

Meravigliosa.
Vernacoliere e Mario Cardinali numeri uno.
Cianciua ci fai veni' l'antua
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Fabio
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Re: Vernacoliere

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Dattero
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Re: Vernacoliere

Messaggio da Dattero »

Meno male che Mario c'è!
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Giuggiolone
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Re: Vernacoliere

Messaggio da Giuggiolone »

Altro che il Tirreno, almeno il mitico Vernacoliere lo dice esplicitamente che vuol far ridere :D E secondi me,alla fine, pur nella sua esplicita volgarità, afferma più verità dei giornali cosiddetti " seri" :ugeek:
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Plinio
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Re: Vernacoliere

Messaggio da Plinio »

EMILIANO PAGANI, fumettista livornese, noto per il suo lavoro su Il Vernacoliere, ha pubblicato questo bellissimo post:

A volte, quando passo qualche giorno fuori o quando mi intervistano per qualche motivo mi trovo nella disperata impresa di dover spiegare come sia nascere, crescere e vivere a Livorno e soprattutto come sia tornarci, quando si è visto anche “un po' di mondo” come si dice da noi.
Solitamente con Daniele Caluri ci stupiamo sempre di come le persone siano gentili nei nostri confronti e di come facciano di tutto per farci sentire il loro apprezzamento e di fare di tutto perché si possa sentirci come a casa, ottenendo l'effetto esattamente opposto, cioè quello di farci sentire nel punto più lontano da casa nostra.
Sì, perché casa nostra è Livorno.
A questo punto urge sfatare subito il mito secondo il quale Livorno sia una città goliardica, una sorta di Paese dei Balocchi dove si ride sempre, si scherza, ci si diverte e si passa il tempo tra una battuta e l'altra.
Ecco, le cose non stanno esattamente così.
Livorno è una città dura.
Aperta e accogliente, certo, ma solo se vuoi farne parte secondo le sue regole, altrimenti può diventare un incubo.
Ad esempio, a Livorno si è tutti uguali e per questo motivo ci si dà del “tu” e ci si prende tutta la confidenza del mondo, sempre e comunque, fino a passare subito a offese scherzose estendibili anche alle mamme o altri parenti e, nel caso nasca una discussione, chi se l'è avuta a male ha sempre più torto di chi ha offeso. Uno che, magari venendo da un'altra città, si rivolgesse a un qualsiasi livornese dandogli (correttamente) del “lei” viene guardato immediatamente con sospetto. Dare del “lei” significa prendere una distanza, voler mettere un ostacolo tra noi e il nostro interlocutore, non voler entrare in confidenza, chissà per quale oscuro motivo, forse per spocchia, sì, dev'essere sicuramente per spocchia, per questo quando ci viene dato del “lei” dentro di noi pensiamo subito “mavaffanculo, testadicazzo”.
Livorno ti costringe a tenere i piedi per terra, anzi ti ci inchioda in terra e forse anche per questo è poi difficile andare via.
Mentre in altre città d'Italia c'è il culto del successo, dell'uomo che si è fatto da solo, a Livorno si persegue con assoluta devozione l'esatto contrario.
Da noi c'è il culto del fallimento, anzi, peggio (o meglio, dipende dai punti di vista) da noi c'è il culto dell'uomo che si è rovinato da solo.
Sì, perché colui che ha successo, in qualsiasi campo, è un “venduto”, “uno di loro”, uno che con senso di superiorità ha osato distinguersi, addirittura elevarsi, dalla nostra tradizione sfacciatamente e orgogliosamente popolare.
Sì, è vero, i livornesi si addobbano spesso di enormi catenoni d'oro, bracciali e vorrebbero avere mille dita per infilarvi altrettanti anelli, ma non è per pavoneggiarsi... anzi, sì, è per pavoneggiarsi ma nello stesso modo in cui lo fanno gli zingari, i pirati, i Cheyenne o le tribù dell'Amazzonia. Fa parte di una divisa, non è una distinzione sociale.
Livorno non perdona uno che ha barattato cose più importanti, i veri valori della vita (il mare, il cane, gli amici, il Livorno, la topa, i gamberoni...) in cambio di riconoscimenti, notorietà e, perché no, anche soldi.
Il vero eroe popolare e modello di vita è quello che, sì, lavora duro, ha talento, forza e determinazione ma anche e soprattutto quello che a un passo dal successo, ha buttato tutto in malora per una battuta, per una trombata, per andare al mare, per uscire con gli amici, per andare allo stadio...
La sua storia verrà raccontata nei bar e sugli scogli di Calafuria negli anni a venire, dipingendolo come un eroe romantico, figlio dello sturm und drang amaranto e fulgido esempio per le nuove generazioni.
Il suo “m'importaunasega” di fronte agli individui o agli eventi che lo richiamavano al dovere e che magari lo avrebbero condotto al successo e alla gloria, riecheggerà per sempre sotto al ponte di Calignaia e lungo i corridoi dell'ipercoop, come monito e incitamento per i giovani labronici.
Livorno ti frustra qualsiasi aspirazione o ambizione, ricordandoti che puoi provare a fare quello che ti pare, magari anche riuscire, addirittura eccellere, ma qui, per noi, a casa tua, sarai sempre un “bòno a una sega”.
E per radicarti questo pensiero in testa è tradizione che i padri livornesi si rivolgano ai loro figli usando la suddetta espressione come nomignolo affettuoso.
“Vieni, bòno a una sega”, sarà la frase che il buon padre rivolgerà al proprio figlio come forma di saluto affettuoso ma anche come richiamo e invito a lasciar perdere qualsiasi attività alla quale si stia dedicando (dalla partita a PES, alle variazioni Goldberg) per seguirlo fuori, a far passeggiare il cane sul lungomare.
“Mi pareva impossibile... tanto lo sapevo che 'un sei bòno a una sega” sarà l'affettuosa risposta, sbuffando con gli occhi al cielo, del genitore al figlio che si rammarica o si lamenta per un compito andato male, per un incidente in motorino, una testata sugli scogli o a causa di un sarago slamato e finito in mare, al momento di metterlo al sicuro nel secchio.
E se invece, al contrario, le notizie fossero quelle di un successo, di un bel voto a scuola, di un riconoscimento, la risposta paterna (ma anche materna, in alcuni casi, tipo il mio) sarà sempre: “hai fatto il tuo”, come a dire che era il minimo che potessi fare e non devi permetterti di poltrire sugli allori o, peggio, di montarti la testa.
Questa è Livorno.
Qualora un livornese dovesse ricevere un riconoscimento importante, fosse anche il Nobel, al momento della sua celebrazione e premiazione, magari in mondovisione, nella sua città ci saranno almeno una trentina di persone pronte a commentare “Ah, ha vinto lui? Boia, era in classe mia e non capiva una sega” e almeno il doppio a dire: “Ah, ha vinto lui? Era in classe del mi' cugino e non capiva una sega!” e il quadruplo a esclamare, con sufficienza: “Ah, lui? Era in classe del cugino di un mio amico e non capiva una sega.”
Perché questo è quello che devi ricordare sempre: non sei bòno a una sega e non stai facendo nulla di speciale. Non farti venire strane idee in testa, perché non sei migliore degli altri, non sei neanche diverso e se proprio ci tieni a essere diverso puoi solo esserlo in peggio, perché questo tuo desiderio ti qualifica automaticamente come uno stronzolo.
Capirete che un ambiente del genere, da un lato ti forgia, ti costringe a tenere sempre i piedi per terra, a metterti sempre in discussione, a empatizzare sempre con chi fallisce, con chi non ha niente, con gli ultimi e mai con i primi, ma dall'altro può essere tremendamente frustrante.
Livorno è l'ondata di libeccio che ti travolge e ti trascina in acqua quando pensi di startene tranquillo a prendere un po' di sole, è il salutare schiaffo che ti riporta alla realtà, dopo che magari sei stato protagonista di un evento, di una manifestazione o addirittura hai vinto un premio in qualsiasi altro posto d'Italia, ricordandoti che tutto quello che conta nel mondo di fuori, qui ha un altro peso. Qui si gioca secondo altre regole e puoi anche aver vinto un nobel, ma se non sai fare le siuski (col fischio e senza) non sei nessuno.
Quando scenderai
in campo un grido
s' alzera' nel cielo
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BALDOeFIERO
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Re: Vernacoliere

Messaggio da BALDOeFIERO »

Plinio ha scritto: gio 20 lug 2023, 23:42 Il vero eroe popolare e modello di vita è quello che, sì, lavora duro, ha talento, forza e determinazione ma anche e soprattutto quello che a un passo dal successo, ha buttato tutto in malora per una battuta, per una trombata, per andare al mare, per uscire con gli amici, per andare allo stadio...
Descrizione perfetta, tra l'altro mi ci ritrovo abbastanza :lol:
Plinio ha scritto: gio 20 lug 2023, 23:42 “Vieni, bòno a una sega”, sarà la frase che il buon padre rivolgerà al proprio figlio come forma di saluto affettuoso ma anche come richiamo e invito a lasciar perdere qualsiasi attività alla quale si stia dedicando (dalla partita a PES, alle variazioni Goldberg) per seguirlo fuori, a far passeggiare il cane sul lungomare.
“Mi pareva impossibile... tanto lo sapevo che 'un sei bòno a una sega” sarà l'affettuosa risposta, sbuffando con gli occhi al cielo, del genitore al figlio che si rammarica o si lamenta per un compito andato male, per un incidente in motorino, una testata sugli scogli o a causa di un sarago slamato e finito in mare, al momento di metterlo al sicuro nel secchio.
E se invece, al contrario, le notizie fossero quelle di un successo, di un bel voto a scuola, di un riconoscimento, la risposta paterna (ma anche materna, in alcuni casi, tipo il mio) sarà sempre: “hai fatto il tuo”, come a dire che era il minimo che potessi fare e non devi permetterti di poltrire sugli allori o, peggio, di montarti la testa.
Ridescrizione perfetta nonché storia della mia infanzia :lol:
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Fabri
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Re: Vernacoliere

Messaggio da Fabri »

bellissimo..
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