Libri: idee, consigli e recensioni

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Dattero
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Re: Libri: idee, consigli e recensioni

Messaggio da Dattero »

piazza ha scritto: dom 19 dic 2021, 19:53 Ora mi butterò prima sull'ultimo di Stephen King, Billy Summers:
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Dell'ultimo di King ho letto le prime 100 in un fiato e direi che e tanta roba. Ora ho rallentato x non finirlo in 2 giorni.
Cianciua ci fai veni' l'antua
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Triglia amaranto
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Re: Libri: idee, consigli e recensioni

Messaggio da Triglia amaranto »

Ragazzi se ancora non lo avete fatto leggetevi assolutamente Walden, vita nei boschi di Thoreau, vi cito solo un passaggio per farvi venir voglia di leggerlo :mrgreen:

Andai nei boschi perchè desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace di imparare quato essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto. Non volevo vivere quella che non era una vita, a meno che non fosse assolutamente necessario. Volevo vivere profondamente, e succhiare tutto il midollo di essa, vivere da gagliardo spartano, tanto da distruggere tutto ciò che non fosse vita, falciare ampio e raso terra e mettere poi la vita in un angolo, ridotta ai suoi termini più semplici; se si fosse rivelata meschina, volevo trarne tutta la genuina meschinità, e mostrarne al mondo la bassezza; se invece fosse apparsa sublime, volevo conoscerla con l’esperienza, e poterne dare un vero ragguaglio nella mia prossima digressione. Ché mi pare che molti uomini abbiano una strana incertezza sul suo valore, se sia di Dio o del demonio; e che abbiano concluso un po’ troppo rapidamente che il fine principale dell’uomo sulla terra è glorificare Iddio e goderlo in eterno

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ROOOOOOOOAAAAARRRRRRR
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spiritual
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Re: Libri: idee, consigli e recensioni

Messaggio da spiritual »

Mi sembra che sia stato citato anche nell'attimo fuggente: mi sembra di ricordare un passaggio.
Bello; veramente molto stimolante.
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Nenciodamus
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Re: Libri: idee, consigli e recensioni

Messaggio da Nenciodamus »

Estratto di un libro
"Ai giorni nostri, si è soliti liquidare lo Stato sociale del ventesimo secolo come europeo e «socialista» - generalmente in frasi come questa: «Credo che la storia registrerà che fu il capitalismo cinese a porre fine al socialismo europeo»4. Passi per «europeo» (se siamo disposti a riconoscere come «europei» il Canada, la Nuova Zelanda e gli Stati Uniti riguardo alla previdenza sociale e all’assistenza sanitaria per gli anziani); ma «socialista»? L’epiteto rivela ancora una volta una curiosa mancanza di familiarità con il recente passato. All’infuori della Scandinavia, in Austria, Germania, Francia, Italia, Olanda e altrove il ruolo più importante nella costituzione e gestione delle istituzioni centrali dello Stato sociale attivista fu svolto non dai socialisti ma dai cristiano-democratici. Persino in Gran Bretagna, dove il governo laburista di Clement Attlee inaugurò dopo la Seconda guerra mondiale lo Stato sociale così come lo conosciamo, fu il governo di Winston Churchill in tempo di guerra a commissionare e approvare il Rapporto di William Beveridge (a sua volta un liberale) che stabiliva il campo delle competenze della previdenza sociale: principi - e pratiche - che furono riaffermati e sottoscritti da tutti i successivi governi conservatori fino al 1979.

Lo Stato sociale, dunque, nacque da un consenso trasversale del ventesimo secolo. Nella maggior parte dei casi fu reso effettivo da liberali o conservatori entrati nella vita pubblica ben prima del 1914, e per cui i provvedimenti statali sui servizi sanitari universali, le pensioni, i sussidi di disoccupazione e di infermità, l’istruzione gratuita, il trasporto pubblico sovvenzionato e gli altri prerequisiti di uno stabile ordine civile non rappresentavano la prima fase del socialismo del Novecento, ma il culmine del liberalismo riformista della fine del diciannovesimo secolo. Una prospettiva simile occupava i pensieri di molti sostenitori del New Deal negli Stati Uniti.
Inoltre, e qui il ricordo della guerra giocava di nuovo un ruolo importante, gli Stati assistenziali «socialisti» del ventesimo secolo non vennero creati come avanguardia di una rivoluzione egualitaria, ma come una barriera contro il ritorno del passato: contro la depressione economica e il suo violento esito polarizzante della politica estrema del fascismo e del comunismo. Gli Stati assistenziali erano quindi Stati preventivi. Furono ideati abbastanza consapevolmente per soddisfare il desiderio generalizzato di sicurezza e stabilità che John Maynard Keynes, tra gli altri, anticipò molto prima della fine della Seconda guerra mondiale, e superarono ogni aspettativa. Grazie a mezzo secolo di prosperità e sicurezza, in Occidente abbiamo dimenticato i traumi politici e sociali dell’insicurezza di massa. E, di conseguenza, non ricordiamo per quale motivo abbiamo ereditato questi Stati sociali e cosa portò alla loro creazione.

Il paradosso, ovviamente, è che il successo dell’economia mista degli Stati sociali - provvedere a una stabilità sociale e a una smobilitazione ideologica che resero possibile la prosperità dello scorso mezzo secolo - ha portato una più giovane generazione politica a dare per scontate quella stessa stabilità e conformità ideologica e a richiedere l’eliminazione dell’«impedimento» rappresentato da uno Stato che tassa i propri cittadini, li disciplina e, più generalmente, interferisce con le loro vite. Se la questione economica è sicura come oggi appare - se le disposizioni e i provvedimenti sociali erano realmente un ostacolo per il «progresso» e il «rendimento» e non forse la condizione che li ha facilitati - è discutibile. Ma quel che preoccupa è fino a che punto abbiamo perduto la capacità di concepire una politica pubblica che trascenda un economicismo limitato. Abbiamo dimenticato come si pensa politicamente.

Anche questo è uno degli strascichi paradossali del ventesimo secolo. L’esaurimento delle energie politiche nell’orgia di violenza e repressione tra il 1914 e il 1945 e in seguito ci ha privati di buona parte dell’eredità politica degli ultimi duecento anni. «Sinistra» e «destra» - termini ereditati dalla Rivoluzione francese -conservano ancora parte del loro significato, ma non descrivono più (come succedeva fino a pochissimo tempo fa) la fedeltà politica della maggioranza dei cittadini delle società democratiche. Siamo scettici, se non addirittura sospettosi, rispetto agli obiettivi politici globali: i grandiosi racconti di Nazione, Storia e Progresso che hanno caratterizzato le famiglie politiche del ventesimo secolo adesso sembrano irrimediabilmente screditati. E così descriviamo i nostri obiettivi collettivi in termini esclusivamente economici - prosperità, crescita, prodotto interno lordo, efficienza, produttività, tassi d’interesse e rendimento dei mercati azionari - come se non fossero solo mezzi per raggiungere un fine politico o sociale collettivo, ma fini necessari e sufficienti in sé.

In un’epoca apolitica, c’è molto da dire sui politici che pensano e parlano economicamente: dopo tutto, è così che la maggior parte della gente concepisce le occasioni e gli interessi della propria vita, e qualunque progetto di politica sociale che ignori questa verità rischierebbe di fare poca strada. Però questo è solo come le cose sono adesso. Non sono state sempre così, e non ci sono valide ragioni per supporre che continueranno a esserlo in futuro. Non soltanto la natura aborrisce il vuoto: quelle democrazie in cui non ci sono opzioni politiche significative, in cui la politica economica è tutto quello che importa realmente - politica economica che oggi è in buona parte determinata da fattori non politici (banche centrali, agenzie internazionali o corporazioni transnazionali) - o cesseranno di essere democrazie o torneranno a ospitare la politica della frustrazione e del risentimento populista. L’Europa centrale e orientale postcomunista dimostra come questo può avvenire; la traiettoria politica di democrazie deboli in altre zone del mondo, dall’Asia meridionale all’America Latina, sono un altro esempio. Fuori dal Nord America e dall’Europa occidentale, sembra che il ventesimo secolo non ci abbia ancora lasciati.


Di tutti i cambiamenti occorsi negli ultimi tre decenni, la scomparsa degli «intellettuali» è forse il più significativo. Il Novecento è stato il secolo degli intellettuali: il termine stesso fu usato per la prima volta (con valore dispregiativo) all’inizio del secolo; sin da subito ha descritto uomini e donne appartenenti al mondo della cultura, della letteratura e delle arti che dedicavano il proprio tempo ad analizzare e a influenzare l’opinione pubblica e la politica. Gli intellettuali erano per definizione «impegnati»: di solito a perseguire un ideale, un dogma o un progetto. I primi «intellettuali» furono quegli scrittori che difesero il capitano Alfred Dreyfus dall’accusa di tradimento, invocando a suo favore il primato delle astrazioni universali: «verità», «giustizia» e «diritti». I loro oppositori, gli «antidreyfusardi» (anch’essi intellettuali, per quanto detestassero il termine), invocavano astrazioni proprie, anche se di natura meno universale: «onore», «nazione», «patrie», «Francia».

Fin quando il dibattito politico pubblico restava confinato in queste generalità, tanto etiche quanto politiche, gli intellettuali influenzavano - e in alcuni paesi dominavano - il discorso pubblico. In quegli Stati in cui l’opposizione e le critiche pubbliche erano (sono) soffocate, gli intellettuali assunsero di fatto il ruolo di portavoce degli interessi pubblici e del popolo, contro le autorità e lo Stato. L’intellettuale del ventesimo secolo raggiunse un certo status pubblico anche nelle società libere: il diritto di espressione e l’alfabetizzazione quasi universale delle società avanzate facevano sì che avesse un pubblico a cui rivolgersi.

A posteriori è facile disprezzare gli intellettuali impegnati del secolo scorso, propensi all’incensamento personale, a pavoneggiarsi soddisfatti davanti allo specchio adorante di un pubblico di pensatori di cui condividevano le idee. Poiché in molti casi gli intellettuali erano «compromessi» politicamente in un’epoca in cui l’impegno politico portava agli estremi, e poiché il loro impegno di solito prendeva forma di parola scritta, in molti hanno lasciato testimonianze di dichiarazioni e fedeltà che non sono invecchiate bene. Alcuni furono portavoce del potere o di un elettorato, e adattarono le proprie idee e dichiarazioni alle circostanze o agli interessi: quella che Edward Said in una occasione definì «la servile elasticità verso la propria parte» ha effettivamente «danneggiato la storia degli intellettuali».
Inoltre, come dichiarò Raymond Aron a proposito dei suoi contemporanei francesi, sembrava che tutti gli intellettuali troppo spesso si impegnassero a non conoscere l’argomento di cui parlavano, soprattutto in ambiti tecnici come l’economia e le questioni militari. E per quanto riguarda i loro discorsi sulla «responsabilità», un numero sconcertante di influenti intellettuali di destra e di sinistra si dimostrarono incredibilmente irresponsabili per la spensierata propensione a fomentare la violenza, ma sempre a una distanza sicura da sé. «Le idee sbagliate finiscono sempre in un bagno di sangue», scrisse Camus, «ma in tutti i casi è il sangue degli altri. Questa è la ragione per cui qualcuno tra i nostri pensatori si sente libero di dire qualsiasi cosa»."

L'età dell'oblio. Tony Judt

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"La questione morale esiste da tempo e dalla sua risoluzione dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, la effettiva governabilità del paese e la tenuta del regime democratico." Enrico Belinguer
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il clone
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Re: Libri: idee, consigli e recensioni

Messaggio da il clone »

Letto con piacere. Molto interessante.
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Etruria
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Re: Libri: idee, consigli e recensioni

Messaggio da Etruria »

Letti i racconti ' Baba e i vecchi compagni '
Di Carlo Cassola
Belli per ambientazione( le nostre colline) e trama
Basata su storie e personaggi veri
Di antifascisti e resistenti volterrani
Livorno ovunque giocherai
Noi siamo della Nord e non ti lasceremo mai
E tutti uniti..

Magnozzi Stua Silvestri Merlo Bimbi Lessi Picchi
Lupo Balleri Maggini Miguel Cristiano Lucarelli IGOR
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Jobbe
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Re: Libri: idee, consigli e recensioni

Messaggio da Jobbe »

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Questi tre li ho finiti da poco
I corpi lasciati indietro è un poliziesco molto incasinato. A me è piaciuto. Ma a me piacciono quasi tutti, di qualsiasi genere, pertanto non faccio testo.
Gli altri due (Tutti presi in prestito dalla biblioteca del paese) li ho voluti leggere perchè, della stessa autrice, avevo gia letto Il sentiero dei profumi come pure La custode del miele e delle api e La rilegatrice di storie perdute ed anche Il profumo sa chi sei.
Libri leggeri che però riescono a tirarti fino alla fine senza farti fermare.
La vita è quella malattia inguaribile che inevitabilmente conduce alla morte
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19=L=15
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Re: Libri: idee, consigli e recensioni

Messaggio da 19=L=15 »

Consiglio La fabbrica parla di Ezio Taddei:
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Parla anche di Livorno a cavallo della seconda guerra mondiale
Taddei concittadino misconosciuto ma che meriterebbe ben altra considerazione di quella che ha
Info su di lui googolando...consiglio la biografia "un certo Ezio Taddei Livornese" edito una quindicina di anni fa ...ma si trova..
"Bandera" amaranto, stretta in fronte, carica di dolor, ma terrà sempre fronte
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piazza
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Re: Bandecchi’s

Messaggio da piazza »

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Se non l'avete mai letto, leggetelo perchè è spettacolo.
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19=L=15
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Re: Bandecchi’s

Messaggio da 19=L=15 »

piazza ha scritto: mer 27 lug 2022, 20:59 Immagine

Se non l'avete mai letto, leggetelo perchè è spettacolo.
Boia mai sentito.. e il genere mi garba anche quindi anche strano....
Vai ricambio con questo anche se di mainstream e magari già lo conosci:

https://it.m.wikipedia.org/wiki/La_svastica_sul_sole

Coi tempi che corrono mi sa di anticipazioni del tg5

Ci si vede da feltrinelli :D
"Bandera" amaranto, stretta in fronte, carica di dolor, ma terrà sempre fronte
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