Nel cuore della primula nera del Donbass pietà l’è morta: «L’Ucraina come Stato unitario cesserà di esistere, ha venduto l’anima al diavolo». E il diavolo, si capisce, è l’America ma siamo anche un po’ noi, «colonia americana, non alleati ma servi». Il bersaglio sono le odiate democrazie liberali «dei diritti da esportare». Scrive da una corsia dell’ospedale di Lugansk Andrea Palmeri, il latitante italiano più famoso nel nuovo inferno creato da Vladimir Putin, aggiornando su Facebook un profilo con bandiera imperiale di «Santa Madre Russia». Detto «il generalissimo» da quand’era capo degli ultrà del Lucca, una condanna a 5 anni sulle spalle, venne salutato con entusiasmo al suo arrivo dal governatore dell’autoproclamata repubblica autonoma di Donetsk nel 2014: «Un vero fascista italiano si è unito alla nostra milizia!».
Il reclutamento
Da allora ha raccolto fondi e addestrato soldati di ventura, è stato un apripista per la nuova brigata internazionale. Da non confondere in alcun modo con i ragazzi ucraini che, residenti da noi con le famiglie, stanno partendo in queste ore per difendere la loro patria sotto attacco, ecco dunque i foreign fighters: coloro che negli anni hanno risposto al richiamo dell’ideologia o alla paga da mercenario accorrendo in Ucraina orientale sono diciassettemila, provenienti da cinquanta Paesi, sia tra i ranghi delle milizie nazionaliste che di quelle separatiste.
Tra essi, secondo stime dell’Antiterrorismo, gli italiani sono una sessantina. Al loro rientro, spiegano le medesime fonti, si rischierà «un travaso in organizzazioni che fanno parte della galassia dell’ultranazionalismo».
Per questi futuri returnees, l’Ucraina sarebbe ciò che la Siria è stata per i jihadisti, una palestra di sangue e azione: «Potrebbero rientrare come terroristi capaci di compiere attentati e soprattutto di diventare “cattivi maestri” per tanti giovani». È l’estrema destra il loro milieu fondamentale (benché non il solo): popolato da soggetti del radicalismo nero vicini a Lealtà e Azione, a Forza nuova e a formazioni naziskin, così come dimostrato dai primi due processi imbastiti a carico di reclutatori e mercenari, a Genova e a Messina, con le prime condanne, alcune delle quali in contumacia (tra i latitanti, il rampollo di una dirigente leghista del Varesotto, «orgogliosa» delle scelte del figlio ma «preoccupata come madre»). L’esaltazione è spesso la molla principale di molti, poiché talvolta la paga non supera i 400 dollari al mese. Parlare di mercenari può dunque essere improprio, almeno in alcuni casi.
L’ideologia
«Per noi e i ragazzi europei il Donbass può rappresentare ciò che era la Fiume del Novecento», racconta in un’intercettazione Orazio Maria Gnerre, amico del leader neofascista Roberto Fiore. Nemmeno trentenne, Gnerre è prezioso per inquadrare il panorama «rossobruno» sullo sfondo. Politologo e saggista (il suo Prima che il mondo fosse si cimenta con i concetti di volontà ed eccezione nel decisionismo novecentesco), è stato coinvolto nell’inchiesta di Genova che ha portato alla condanna di un ex parà russo e di un aspirante legionario moldavo, ma la sua posizione è stata archiviata. Rigetta da tempo l’etichetta di «estremista di destra», avendo fondato «Millennium-partito comunitarista europeo» e intrattenendo «rapporti culturali» con il vero guru del sogno euroasiatico di Putin, Alexandr Dugin, filosofo antimodernista formatosi su Evola.
È studiando miti e retroterra culturale dei miliziani venuti dall’Italia che si capisce come la sfida ultima sia tra la modernità dell’Occidente e i valori premoderni della Russia putiniana, ben sintetizzati nel parterre del summit di San Pietroburgo che nel 2015 riunì il gotha del sovranismo europeo. La chiave è trasversale. Ecco, infatti, sulla scena anche il «Comitato per il Donbass antinazista», che ha la sua base nel quartiere di San Lorenzo a Roma: proprio da qui potrebbe essere partito un romano cui ancora l’antiterrorismo cerca di dare un nome, l’elusivo «comandante Nemo», anima della brigata InterUnit. È il secondo filone: quello «rosso». Del resto, nel processo di Genova, appare un militante dell’estrema sinistra già vicino al Pkk curdo come Luca Pintaudi.
Molte categorie si mescolano. Da Kiev i neonazisti del battaglione Azov hanno intessuto rapporti cordiali con gli italiani di CasaPound. E «in Ucraina e in Russia ci sono pure movimenti che si dicono comunisti ma al 90% delle cose la pensano come noi», medita Gnerre nell’ennesima, illuminante intercettazione, che nel suo caso — rammentiamolo — ha un mero valore storico. Un situazionista come Pino Russo, finito nell’inchiesta di Messina, sintetizza al telefono tanto caos con inconsapevole slancio marinettiano: «È stato bello sparare come i pazzi, vrrrumm, vrrummm!». E il «generalissimo» Palmeri chiosa da par suo: «Spara per primo, per non fare la fine di Piero». È l’ultimo oltraggio, per noi che credemmo nella pace: lo stupro delle rime di De André.
https://www.corriere.it/politica/22_feb ... 4386.shtml